Posts written by ennekappa

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    Al retro possiamo ammirare la piattina anonima che blocca la spilla, tipica del periodo RSI, senza marchi del fabbricante.
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    Lo stesso libro in edizione tedesca del 1961, dono dell'amico Volker W.
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    Iniziamo con il libro scritto dal Comandante M.O.V.M. Junio Valerio Borghese, edito da Garzanti in prima stampa nel settembre del 1950, il titolo e' secco ed efficace X Flottiglia MAS e narra le vicende dalle origini al fatidico 8 settembre 1943 (data dell'armistizio).
    Questo libro e' stato preso da esempio di tattiche militari da molte scuole navali in tutto il globo, dagli USA alla vecchia unione sovietica passando dalla Germani all'Inghilterra.
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    Una cartolina disegnata dal famoso illustratore Gino Boccasile, come la prima che ho postato con il MAS in navigazione, qui e' rappresentata Pasca Piredda, responsabile dell' ufficio stampa della Xa Flottiglia MAS, tra 2 maro', uno vestito con la divisa kaki estiva e l'altro con la classica grigioverde.

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    Edited by ennekappa - 2/1/2009, 21:03
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    Le spillette raffiguranti il leone Marciano o meglio conosciuto come leone di San Marco, sono tipiche dell' iconografia della Xa MAS periodo RSI, eredita' avuta dal Reggimento Fanteria di Marina San Marco del Regio esercito, ma con un disegno e significato diverso.
    La coda del Leone e' alta che sta a significare che il leone e' pronto a colpire (anche se a dire il vero questo particolare non e' sempre stato rispettato) ed il vangelo e' rigorosamente chiuso che sta a significare lo stato di belligeranza.
    Ecco la prima spilla con il motto TENERE DURO fatta i lamierino d'ottone.
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    Questo topic lo dedichiamo a tutti i caduti per la difesa del confine Orientale.
    Era l'inverno del 1944 e la Divisione Decima viene inviata in Friuli Venezia Giulia per la difesa del confine orientale.
    Durante le fasi finali della seconda guerra mondiale fu, con l'attiguo Altopiano della Bainsizza, un "santuario" per le formazioni partigiane dell'Esercito Popolare di Liberazione iugoslavo. Per la posizione dominante la piana goriziana costituì anche un'ottima base di partenza per operazioni a vasto raggio verso la pianura sottostante.
    Alla fine del 1944 il comando tedesco, conscio del rafforzarsi della presenza partigiana sopra Gorizia, intraprese un'operazione offensiva, l'Adler Aktion, allo scopo d'accerchiare ed eliminare le unità slave degli altipiani.
    Oltre a truppe tedesche ed ai vari reparti slavi filo-tedeschi, un ruolo di primo piano fu assegnato ai battaglioni italiani di fanteria di marina della Decima MAS presenti in Gorizia: Sagittario, Barbarigo, Lupo, parte dei battaglioni Nuotatori Paracadutisti, Serenissima, guastatori Valanga, genio Freccia, ed i gruppi d'artiglieria San Giorgio ed Alberico da Giussano. L'Adler Aktion ottenne un risultato solo parziale: non allontanò le formazioni partigiane dal tarnovano, ma ne rese difficoltosi i collegamenti. Nei primi giorni del gennaio 1945 si costituirono dei presidi per acquisire un maggiore controllo del "santuario". Tarnova fu il più interno ed isolato di questi; lo presidiarono i marò della Decima. Durante l'Adler Aktion, il 21 dicembre 1944, il Sagittario raggiunse il paese e lo tenne sino all'inizio di gennaio. Vennero a rimpiazzarlo la prima compagnia del Valanga, ed una batteria d'obici da 75/13 del San Giorgio; in totale, circa 200 uomini. Dal paesetto s'irradiarono continuamente pattuglie per simulare la presenza d'un ben maggiore contingente di difensori.
    Il 7 gennaio, in seguito alla segnalazione d'un possibile attacco, vi s'aggiunse anche il Barbarigo. L'azione, prevista per il giorno successivo, non avvenne, pure se le pattuglie riscontrarono un'accresciuta attività avversaria a testimonianza della preparazione d'operazioni militari di rilievo. Il Barbarigo fece quindi ritorno a Gorizia.
    Il 9 gennaio gli uomini del Valanga e del San Giorgio vennero a loro volta sostituiti da quelli del battaglione Fulmine. Il IX Corpus, responsabile di quel settore per l'Esercito Popolare di Liberazione iugoslavo, scortane l'opportunità decise d'intraprendere un'operazione destinata ad annientare il presidio, circondandolo ed assalendolo dopo avere disposto sue unità ad ogni via d'accesso per i possibili rinforzi.
    La 19a brigata slovena di liberazione nazionale "Srechko Kosovel" (suo comandante era Tone Bavec-Cene, e commissario Edo Klemencic) venne incaricata d'assalire Tarnova.
    Per questo ebbe in rinforzo una compagnia d'assalto, accrescendo inoltre la sua dotazione d'armi d'accompagnamento sino ad avere quattro cannoni, due fucili anticarro, due mortai pesanti e tre lanciamine partrop.
    I marò avevano allestito nel paese, compatibilmente con le risorse disponibili ed il clima rigidissimo, delle opere difensive.
    Attorno all'abitato si stendeva una cerchia esterna di postazioni protette, basata su dodici capisaldi appoggiati da buche e protetti da qualche barriera di filo spinato e da rade mine antiuomo.
    Alcune case erano state poi trasformate, sempre con mezzi di fortuna, in capisaldi.
    L'equipaggiamento delle due forze contendenti era inadatto al clima. I marò della Decima indossavano la divisa di panno, e cercavano di difendersi dal freddo con le tute mimetiche policrome od i pastrani grigioverdi che li facevano risaltare sul bianco del terreno innevato. Molti alzavano sin sopra il capo il collo di lana del maglione a mo' di passamontagna.
    La brigata Kosovel nel tardo pomeriggio del 18 gennaio, con una temperatura di dieci gradi sotto lo zero, lasciò Otlica ed attraverso Mala Strana a notte fonda giunse attorno a Tarnova. Questo fu il piano operativo slavo.
    Al 1° battaglione, comandato da Anrej Renar sarebbe spettato il compito più gravoso. Dopo essersi diviso in due colonne, si sarebbe disposto a nord est dell'abitato, laddove i boschi più vicini alle prime abitazioni fornivano una migliore copertura. Da qui, la prima colonna avrebbe attaccato seguendo la strada proveniente da Casali Nemci, la seconda quella che scendeva da Rijavci. Il battaglione avrebbe dovuto conquistare i bunker 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8; per questo ottenne due cannoni da 47/32 e due da 20 mm, mortai da 81, due Partrop ed un PIAT. Le armi d'appoggio, grazie allo schermo dato dalla vegetazione e dalla foschia, furono appostate a circa 300 metri dalla linea difensiva italiana. Il 2° battaglione avrebbe attaccato da sud, avendo quali primi obbiettivi i bunker 9, 10 ed 11. Avrebbe assieme impedito eventuali tentativi di sganciamento italiani verso Gorizia. Il 3° battaglione sarebbe rimasto di riserva nei boschi a nord ovest del paese; solo un suo plotone sarebbe entrato subito in azione eliminando il bunker n. 1, costruito in posizione isolata presso quota 813.
    Da parte italiana, la prima compagnia difendeva il settore nord dell'abitato, la seconda quello sud, e la terza "Volontari di Francia" quello occidentale.
    Le forze partigiane presero posizione attorno a Tarnova mentre sul paese soffiava un vento freddo, che però non riusciva a spazzare dagli avvallamenti del terreno una caligine fastidiosa. Alle 5. 50 del mattino le armi della brigata Kossovel aprirono il fuoco sulle postazioni italiane; contemporaneamente i suoi elementi d'assalto mossero in avanti. La reazione italiana, pronta e decisa, fermò il primo assalto. Il proiettile d'un mortaio Brixia da 45 mm della prima compagnia del Fulmine, esploso a ridosso delle postazioni per le armi d'appoggio del primo battaglione slavo, raggiunse un deposito d'esplosivo, uccidendo o ferendo parte dei serventi.
    Gli assaltatori scoprirono sorpresi che il tiro italiano giungeva anche da una serie di postazioni minori vicine ai bunker, che i loro informatori non avevano rilevato.
    Le forze partigiane si lanciarono in un secondo assalto, che non ebbe migliore sorte del primo.
    La reazione italiana consentì al Fulmine di riprendere possesso di qualche posizione temporaneamente abbandonata. Si cominciò a capire la portata dell'azione avversaria, rilevandone altresì la direttrice principale d'assalto a nord - est, da dove giungeva il maggiore volume di fuoco.
    Alle 7. 00 del mattino, quando la prima luce consentì di regolare il tiro con precisione, i cannoni slavi aggiunsero i loro proiettili a quelli delle armi leggere.
    L'accresciuto fuoco d'appoggio permise agli assalitori di portarsi nuovamente in avanti, conseguendo i primi successi.
    Fu espugnato un bunker sul lato nord e quindi caddero anche il n° 6 ed il n° 7.
    Gli italiani si ritirarono nelle case vicine, da dove continuarono il combattimento bloccando il progresso degli attaccanti. In quella fase dello scontro, la seconda compagnia subì la perdita di due dei suoi ufficiali. Alle sette fu mortalmente ferito il comandante G. M. Giovagnorio e poco più tardi una pallottola raggiunse il G. M. Giombini all'interno della stanza al primo piano, nella casa caposaldo ove stava combattendo.
    Alle 11.30, il nucleo d'operatori radio del Battaglione Freccia distaccato presso il Fulmine riuscì a collegarsi col comando di divisione a Gorizia, e ad informarlo della situazione in atto, chiedendo soccorsi.
    Nel frattempo, dalle postazioni partigiane continuò incessante il tiro delle armi individuali, dei lanciarazzi e dei cannoni sugli italiani.
    Nel pomeriggio giunse un altro successo per gli uomini del 1° battaglione della Kossovel: il bunker n° 5 fu smantellato dai tiri d'un PIAT, ed espugnato. Verso le 15. 00 da parte italiana si riscontrò un calo d'intensità nel fuoco nemico.
    L'artiglieria avversaria era infatti ridotta quasi al silenzio: i due cannoni automatici cal. 20 ed uno dei pezzi da 47 s'erano guastati in modo irreparabile, l'altro superstite aveva ancora pochi colpi a disposizione. Le forze slave disponevano in ogni modo delle armi rivelatesi più efficaci contro i bunker ed i capisaldi del Fulmine: i PIAT, i Partrop ed i mortai. La sera portò una fitta nebbia; iniziò a cadere la neve. Le forze partigiane sospesero gli attacchi, ma continuarono l'accerchiamento dell'abitato e le azioni di disturbo. Alle 21. 00 una pattuglia di tre marò del Fulmine, uscita per eliminare un centro di fuoco nemico contando su un rilassamento della guardia avversaria, fu subito individuata e bloccata dall'intenso tiro avversario.
    Il Fulmine nel primo giorno contò dodici morti (due ufficiali e dieci fra sottufficiali e marò), e due ufficiali e ventitré tra graduati e marinai feriti.
    Ad essere investite dall'azione della brigata Kossovel furono soprattutto la prima e seconda compagnia, mentre la terza "Volontari di Francia" subì il tiro continuo e sporadiche azioni di disturbo avversarie.
    La situazione al chiudersi della prima giornata di combattimenti era in sostanziale parità. Il sistema difensivo del Fulmine, nonostante la conquista d'alcune postazioni esterne italiane, era ancora efficiente ed i marò non davano alcun segno di cedimento. Gli assediati cominciavano però a scarseggiare di munizioni, e da parecchi giorni non ricevevano viveri.
    La notte iniziò a trascorrere fra un continuo lancio di razzi e segnali luminosi da parte slava.
    Nel cuore della notte il Fulmine, nonostante queste misure di sicurezza, contrattaccò e respinse dal bordo orientale del perimetro le punte avanzate degli assedianti, riprendendo il controllo dei bunker n° 6 e 7.
    L'improvvisa azione italiana scatenò alle 04. 30 un altro attacco del 1° battaglione Kosovel. Dopo due ore, alle 6. 30 del 20 gennaio il bunker 6 cadde nuovamente in mani partigiane e fu distrutto. Poco dopo, anche il n° 7 venne smantellato; gli assaltatori slavi riuscirono ad impossessarsi anche delle case vicine.
    La breccia nelle linee esterne determinò l'inizio della crisi per gli italiani.
    Più tardi nella mattinata anche i bunker n° 3 e 4 furono presi dagli attaccanti.
    La loro perdita costrinse il Fulmine ad arretrare la linea difensiva settentrionale sino all'abitato. Da parte slava si vide prossimo il tracollo dei difensori, e si pensò fosse giunto il momento dello sforzo finale. Il 3° battaglione, di riserva nel bosco a nord-ovest di Tarnova, ricevette l'ordine d'attacco.
    Il comando partigiano aveva sottovalutato la caparbietà dei marò: un intenso fuoco dalle case ai margini occidentali del paese riuscì una volta di più ad infrangere lo slancio degli slavi. Giunse intanto il pomeriggio del 20 gennaio. Il comando partigiano decise di mandare avanti anche il 2° battaglione. L'intera linea difensiva fu quindi investita da assalti tesi ad aggirare le postazioni, ad infiltrarsi fra abitazione ed abitazione, ad isolare i nuclei di resistenza, a sopraffarli con l'uso d'esplosivo.
    Al crepuscolo il 2° battaglione riuscì a catturare il bunker n. 11, ma il fuoco dei "Volontari di Francia" dalle case a sud dell'abitato gli impedì di progredire nell'assalto.
    Calò la sera: il 1° battaglione iugoslavo attaccò da est, sul fianco sinistro, il settore della terza compagnia.
    Riuscì a conquistare i bunker 8 e 9, i cui difensori si rinserrarono nell'osteria del paese.
    Alle 20. 00 il grosso dei superstiti s'era asserragliato in quattro case al centro del paese. Poi queste furono incendiate dal tiro nemico, ed i difensori ripiegarono su altre costruzioni.
    Il comandante Bini a questo punto si trovò costretto ad una decisione. Il mancato arrivo dei rinforzi, l'esaurirsi delle munizioni, il progressivo avanzare degli slavi, la disgregazione delle linee difensive, ed infine l'autorizzazione a ritirarsi preventivamente trasmessa via radio dal Comando di Divisione, lo convinsero ad ordinare la ritirata dal paese per salvare i superstiti del battaglione. La decisione comportò un alto prezzo: l'abbandono dei feriti gravi.
    Gli uomini, sguarnendo le postazioni, si sarebbero raggruppati presso il Comando di Battaglione ed avrebbero cercato di sfondare l'accerchiamento, dirigendosi verso Gorizia. Così alle ore 20.00 cominciò ad essere diramato l'ordine di rendere inutilizzabili le armi pesanti e di concentrarsi entro le 24.00 al comando di battaglione. La comunicazione di questa disposizione avvenne in ogni caso in modo fortunoso, poichè l'unico mezzo rimasto erano le staffette che sgusciavano fra gli attaccanti.
    Alcune postazioni ricevettero la disposizione solo attorno alle 23.30. Ad altre non riuscì a pervenire.
    Il combattimento si concentrò nella parte meridionale dell'abitato, dove ancora resistevano due bunker ed alcune case. Gli italiani, asserragliati nelle abitazioni, esaurite munizioni e bombe a mano usavano dell'esplosivo per improvvisare ordigni con cui resistere alla pressione nemica. Di quando in quando il fuoco cessava ed arrivavano degli inviti alla resa.
    Verso le 23 alle voci dei partigiani s'aggiunse anche quella d'un marò catturato, Lucon. Le sue esortazioni dirette al comandante Bini scossero quanti ebbero l'occasione di sentirne la voce. Intanto, lentamente, l'avanzata slava progredì.
    Il 2° battaglione espugnò il bunker n° 12, e verso mezzanotte cadde l'ultima postazione, la n° 10. Resistevano quattro capisaldi: uno era il comando di battaglione, dove s'era adunato il grosso dei superstiti.
    Alle 2. 30 del 21 gennaio la colonna del Fulmine mosse verso ovest. Gli uomini s'erano improvvisati delle tute mimetiche con le lenzuola trovate nelle case.
    Per aprirsi la strada verso sud - ovest, i marò dovettero annientare a colpi di bombe a mano (sei Balilla italiane legate attorno ad una M24 tedesca) uno dei bunker, in cui s'erano insediati dei partigiani con una mitragliatrice MG 42. Assolsero il compito gli uomini della 3a compagnia. Un gruppo in ritirata, al comando dell'aiutante maggiore in 2a T. C. Stefano Balassa, venne individuato e posto sotto tiro da parte dei nemici.
    Costretti a ripiegare, i marò tornarono verso il paese e si trincerarono in una casa.
    Vicino a loro, chiusi in un'altra abitazione, resistevano alcuni superstiti della 2a compagnia agli ordini del G. M. Minervini. Già circondati ed isolati quando fu impartito l'ordine di ripiegamento, non lo ricevettero e continuarono quindi a resistere ad oltranza.
    I reparti partigiani si resero conto d'essere padroni del paese. Posti dei reparti attorno agli ultimi nuclei di resistenza, gli uomini della Kossovel saccheggiarono il paese, e si ritirarono senza tentare d'inseguire la colonna in ritirata. Entrarono nell'infermeria, improvvisata all'interno d'una abitazione e presero ad ammazzare i feriti. Qualcuno fra di loro si salvò perchè riuscì a nascondersi, o fu creduto morto.
    I partigiani uccisero anche alcuni abitanti del paese, ed incendiarono delle case.
    Qualcuno, fra gli italiani, al precipitare della situazione s'era suicidato per non cadere in mano nemica: fu il caso del G. M. Roberto Valbusa della III Compagnia.
    Alle 6. 30 del mattino successivo la colonna del Fulmine in ritirata, composta in tutto da 83 uomini, giunse a contatto con reparti tedeschi.
    Poco dopo, un autocarro del Comando Divisione raccolse i superstiti del battaglione, riportandoli a Gorizia.
    Quasi contemporaneamente, il gruppo di combattimento tedesco Metz proveniente da Sambasso (Sempas) raggiunse Tarnova. Il paese era stato abbandonato in fretta dai partigiani.
    I capisaldi dei G. M. Minervini e Balassa (in tutto 48 uomini) avevano combattuto tutta la notte senza arrendersi, e stavano ancora resistendo. Nella notte avevano avuto 5 feriti gravi ed 8 leggeri. I soccorritori germanici trovarono la casa caposaldo del G. M. Minervini minata, per essere fatta esplodere coi suoi difensori piuttosto che cadere nelle mani degli slavi. Furono rinvenuti, allineati nella strada verso Gargaro, anche i corpi di quelli che erano caduti nelle mani partigiane. La battaglia di Tarnova finì così. Il Fulmine ebbe 50 morti e 42 feriti. Gli attaccanti della brigata Kossovel dichiararono d'avere avuto 33 morti e 71 feriti. La battaglia di Tarnova può motivare interpretazioni e valutazioni differenti, soprattutto qualora la si veda quale fatto a se stante.
    L'iniziativa iugoslava non fu un episodio isolato; quando se ne presentò l'occasione, come a Chiapovano, a Casale Nemci ed a Tribussa, le forze partigiane cercarono d'accerchiare ed annientare i reparti avversari, ottenendo col rapido ridispiegamento la superiorità tattica. Nessuno di questi fatti d'arme conseguì il risultato voluto, permettendo al IX Corpus di riguadagnare il controllo totale del suo "santuario". La battaglia di Tarnova fu uno scontro particolarmente sanguinoso per la determinazione ed il coraggio con cui assalitori e difensori si confrontarono.

    1) La Decima MAS aveva formalmente costituito nell'aprile del 1944 una divisione di fanteria di marina, la Divisione Decima, su due reggimenti di fanteria, uno d'artiglieria ed un battaglione genio.
    L'ordine di battaglia fu il seguente:
    -Comando Divisione Decima
    -Primo Reggimento Fanteria di Marina
    battaglione f. m. Barbarigo
    battaglione f. m. Nuotatori Paracadutisti
    battaglione f. m. Lupo
    -Secondo Reggimento Fanteria di marina
    battaglione f. m. Sagittario
    battaglione f. m. Fulmine
    battaglione f. m. Valanga
    -Terzo Reggimento Artiglieria
    gruppo artiglieria da montagna San Giorgio
    gruppo artiglieria da campagna Alberico da Giussano
    gruppo artiglieria da campagna Bartolomeo Colleoni
    battaglione genio Freccia
    La Divisione non venne mai impiegata al completo; le operazioni nel goriziano rappresentarono il massimo suo impegno operativo. Non vi parteciparono il battaglione Lupo ed il gruppo Colleoni, in partenza per il fronte sud; due compagnie del Valanga, impegnate in altro settore; due dei Nuotatori Paracadutisti, in addestramento. Il Freccia, il cui compito primario era quello dei collegamenti, venne impiegato suddiviso in squadre, assegnandolo alle varie unità operanti.

    2) Il comando tedesco in questo ciclo operativo assegnò la maggior parte dei compiti rischiosi alla Decima, riservando alle varie unità slave filo tedesche ruoli con minore rischio.
    Peraltro, mentre gli italiani attuarono le disposizioni avute, lo stesso non avvenne per i vari cetnici, domobranzi ed ustascia.

    3) Il battaglione Fulmine si articolava in: - compagnia comando
    - 1a compagnia, su tre plotoni fucilieri; oltre alle armi individuali erano in dotazione fucili mitragliatori Breda 30, 4 mitragliatrici Breda 37, 4 mortai Brixia da 45 mm.
    - 2a compagnia, su tre plotoni; oltre alle armi individuali erano in dotazione 2 fucili mitragliatori Breda 30, mitragliatrici Breda 37, 2 fucili anticarro Solothurn da 20 mm, 4 mortai Brixia da 45 mm, 3 mortai Cemsa da 81 mm
    - 3a compagnia "Volontari di Francia", formata da volontari figli di italiani emigrati oltralpe; fucili mitragliatori Breda 30, mitragliatrici Breda 37, mortai Brixia da 45 mm.
    L'organico totale assommava a 214 uomini; comandante ad interim era il t. v. Eleo Bini, essendo il comandante effettivo Giuseppe Orrù ricoverato in ospedale per alcune ferite riportate in combattimento. L'età dei volontari era mediamente inferiore ai vent'anni, ma non mancavano tra di loro dei veterani. L'armamento individuale era composto principalmente da mitra Beretta MAB 38, da fucili 91 e da pistole Beretta mod. 34, ma non mancavano altre armi catturate o ricuperate.
    Non tutte le armi d'accompagnamento in dotazione al battaglione vennero portate a Tarnova.
    La forza delle compagnie a Tarnova era la seguente:
    1a compagnia tot. 71
    2a compagnia tot. 61
    3a compagnia tot. 82
    tot. 214

    4) Nelle operazioni di supporto alla brigata "Kosovel" vennero impiegate:
    30a divisione jugoslava:
    17a SNOB (brigata slovena di liberazione nazionale) "Simon Gregorcic"
    18a SNOUB (brigata d'assalto slovena di liberazione nazionale) "Basovitzka” divisione italiana "Garibaldi Natisone"
    156a brigata Bruno Buozzi
    157a brigata Guido Piccoli
    20a brigata Triestina
    31a divisione:
    3a SNOUB (brigata d'assalto slovena di liberazione nazionale) "Ivan Gradnik"2° btg.
    7a SNOUB (brigata d'assalto slovena di liberazione nazionale) "France Preseren"

    5) Uno degli aspetti controversi nella battaglia di Tarnova è la consistenza delle forze partigiane in campo. Le relazioni d'epoca del Fulmine parlano di un numero d'assalitori variabile da 1. 500 a 2. 500. La storiografia iugoslava parla di soli 356 attaccanti. Fra gli estremi, si ritiene verosimile la stima data prima dal Capitano di Corvetta Rodolfo Scarelli e ripresa poi da Nino Arena in "Soli contro tutti" d'un migliaio d'assalitori, il che darebbe ad ogni battaglione un organico di circa 300 uomini e porterebbe il rapporto tra difensori ed attaccanti in uno a cinque. Giova ricordare che nell'arte militare un attacco viene considerato come destinato al successo quando la proporzione fra assalitori e difensori è di uno a tre.

    6) Queste postazioni vengono definite bunker da entrambi i contendenti. In realtà, come mostrano le foto, si trattava di ricoveri alzati con muratura e secco, tronchi e sacchi di sabbia, col tetto di lamiera ed assi. In grado di fornire riparo al tiro di fucileria, questi ripari non resistevano alle cariche esplosive, carenza questa importante per la sorte di Tarnova.

    7) La numerazione dei bunker è desunta dal resoconto iugoslavo dei combattimenti, e risale alle informazioni sulla difesa di Tarnova allora a disposizione della brigata Kossovel. Secondo fonti italiane, i bunker erano solo cinque. Dato l'uso estensivo del termine bunker, descritto nella nota precedente, qui si devono intendere anche come posizioni protette.

    8) Il Partrop era un'arma di concezione partigiana basata sui lanciarazzi portatili tedeschi. Il proiettile sferico carico d'esplosivo, del diametro di circa 40 - 50 cm, raggiungeva la distanza di 150 - 200 metri.

    9) Proiector Infantry Anti Tank: arma controcarro inglese, in cui il proiettile era lanciato contro il bersaglio da una molla.

    10) La ricostruzione slava degli eventi fissa l'inizio delle operazioni alle 03. 30; le fonti italiane alle 5. 50, salvo una che parla delle 4. 00. Per la nostra ricostruzione ci valiamo delle indicazioni fornite da Giovanni Piagentini, della 2a compagnia.

    11) Probabilmente il bunker n° 1, il più isolato del sistema difensivo. La conquista avvenne ad opera di un plotone del terzo battaglione iugoslavo.

    12) Si trattava di quattro operatori. Nelle fasi finali del combattimento continuarono il loro compito sino al sopraggiungere degli slavi nella casa da loro occupata. Quindi si trattennero per distruggere gli apparati ed i codici, venendo infine catturati ed immediatamente passati per le armi. Il loro comandante, s. c. Rizzo, sopravvisse pure se colpito da un colpo di pistola al capo.

    13) Le operazioni di soccorso al Fulmine presero il via nel pomeriggio del 19; la principale di esse, cui partecipavano tutti i reparti della Decima, partì da Gorizia nella serata. Il dispositivo di sicurezza partigiano collocato attorno all'altipiano bloccò comunque il progresso delle colonne sino al mattino del 21, dopo che una serie di attacchi italiani ebbe eliminato i capisaldi avversari. Sul ritardo dei soccorsi influì anche l'atteggiamento del comando tedesco, che autorizzò l'intervento solo dopo una giornata di combattimento.

    14) Più che a combattere sembriamo decisi a morire perchè ci sentiamo i soldati dell'onore. Vogliamo dimostrare ai paesi d'oltre Alpe che hanno detto: "Gli italiani non sanno combattere" che si sono sbagliati di gran lunga. Questo ha scritto un marò della II compagnia. La mancanza di munizionamento fu il fattore determinante anche nel combattimento di Chiapovano, dove protagonista fu il Barbarigo. Attaccato da forze preponderanti il 24 dicembre 1944, seppe contenerne la spinta ma fu costretto al ripiegamento con perdite lievissime per l'esaurirsi delle scorte di munizioni.

    15) La mancanza di munizionamento fu il fattore determinante anche nel combattimento di Chiapovano, dove protagonista fu il Barbarigo. Attaccato da forze preponderanti il 24 Dicembre 1944, seppe contenerne la spinta ma fu costretto al ripiegamento con perdite lievissime per l'esaurimento delle scorte di munizioni.

    16) A fare queste proposte erano anche degli italiani combattenti con gli slavi. Ad un di essi fu risposto in buon toscano da un marò della 2a compagnia: "Tu se' di Pisa? O dimmi dove si è fatta sbattere la tu' mamma per mettere al mondo un bastardo come te?". Le proposte di resa partigiane ricevevano dalla stessa voce l'immancabile risposta: "Venite avanti, figli di puttana!".

    17) Secondo la relazione slava, il bottino fu d'un mortaio da 81, due mortai Brixia, una mitragliatrice Breda 37, tre fucili mitragliatori Breda 30, tre mitra, ventiquattro fucili, quattro pistole, una stazione radio, un camion.

    18) Il S. C. Dante Mantini della 2a Compagnia, ricoverato in infermeria per una scheggia che l'aveva colpito al ginocchio, si salvò calandosi con l'aiuto d'un altro ferito dentro un cassone pieno di patate.

    19) Roberto Valbusa, comandante del plotone mitraglieri della 3a Compagnia, rimase volontariamente nell'abitato con otto marò, per coprire combattendo il ripiegamento della colonna. Quando stavano a loro volta per sganciarsi, furono circondati dalle forze slave. Dalla colonna si udirono le invocazioni d'aiuto in lingua francese d'uno dei marò, Domenico Verrando. La sua voce si spense bruscamente, strozzata. I corpi degli otto marò non furono mai ritrovati. L'ufficiale, che aveva già combattuto nei Balcani con il Regio Esercito, quando capì di non avere più speranza si uccise con la sua pistola per non cadere vivo nelle mani dello spietato nemico.

    20) Fra i feriti ci fu anche il marò Benito Lorenzi, che come calciatore dell'Inter si guadagnò il soprannome di Veleno.

    Tratto da uno scritto di Marino Perissinotto
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    Questa cartolina e' dedicata ai fanti di marina, ed in special modo ai ragazzi del Btg. Barbarigo impegnati sul fronte di Nettuno per contrastare lo sbarco degli alleati.

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    Edited by ennekappa - 2/1/2009, 21:01
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    Molto collezionate e molto ricercate, le cartoline della Decima sono da sempre un ottimo obiettivo da mettere in raccolta, sia per la loro bellezza che per la rarita' visto il periodo in cui sono state prodotte.
    Iniziamo con un classico, il Mas in navigazione ed il motto Arruolatevi!....tra gli arditi del mare, per l'onore per l' Italia, disegnata dal grande Gino Boccasile.

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    Edited by ennekappa - 2/1/2009, 22:16
  9. .
    Al verso si puo' notare il conio nitido e spigoloso, la zama e' una lega povera di zinco e alluminio, tipica del periodo bellico, vi e' anche una percentuale di rame che la fa sembrare dorata e di magnesio.
  10. .
    Lo scudetto da braccio della Xa MAS e' uno dei pezzi piu' ricercati ed ambiti dell' intera militaria, e' carico di significati dove il teschio con la rosa in bocca si rifa' alla frase del Com.te Todaro, dove la morte in guerra è paragonata ad una cosa bella e profumata proprio come una rosa rossa, la X (decima) richiama la legione di Cesare che salvo' Roma, la fune di stampo marinaro racchiude l'iconografia dello scudetto stess0.
    Ci sono varie versioni e diversi produttori, questo primo scudetto e' in zama nuda e verniciato in un blu scuro tendente al verde, il produttore e' la ditta Bregonzio di Milano.
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