SI TORNA A PARLARE DELLA FOSSA DI LEONESSA

Nuova indagine del Ministero della Difesa

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  1. BASE OVEST
     
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    Il 26 agosto 2004, una missione archeologica guidata dal Gr. Uff. Prof. Mario Polia, nella zona di Fuscello di Leonessa (Rieti), ritrovò quella che sembrò essere una fossa comune. A poca distanza da alcune rovine medioevali vennero rinvenuti frammenti ossei di indiscutibile appartenenza umana. Della missione archeologica faceva parte anche il Cav. Uff. Dott. Pietro Cappellari, ricercatore della Fondazione della RSI Istituto Storico di Terranuova Bracciolini (AR), da anni impegnato nello studio della guerra civile sull'Appennino umbro-laziale.

    Dopo aver smosso delle zolle di terra, fu riporta alla luce la parte inferiore di uno scheletro umano.

    Un'approssimativa datazione fece risalire i resti al periodo della seconda guerra mondiale, quando su queste montagne si verificarono stragi germaniche e non pochi omicidi compiuti dai partigiani.

    Il ritrovamento di più ossa fece pensare che in quella fossa fossero presenti i resti di almeno due persone. Infine, il rinvenimento di un proiettile all'interno di un muro crivellato da colpi sembrò dipingere una classica scena di esecuzione sommaria.

    Vennero allertati i Carabinieri e il tutto fu affidato alla Magistratura. Nessuno si sbilanciò nell'identificare il corpo o i corpi anche se, in quel vallone, nei primi mesi del 1944, avvennero episodi mai chiariti come la scomparsa del Comandante partigiano Mario Lupo, secondo alcuni ucciso dai comunisti a causa del suo moderatismo; la scomparsa di una ragazza sequestrata dai ribelli a Polino (Terni) e mai più ritrovata; l'uccisione di due combattenti della RSI i cui corpi scomparvero nel nulla. Tutti episodi rimossi dalla memoria collettiva e su cui scese una ferrea cappa di silenzio ed omertà.

    Nonostante le gravi ipotesi di reato quali strage, vilipendio ed occultamento di cadavere, la Magistratura reatina, nell'assoluta mancanza di indizi in grado di ricostruire i fatti, non poter far altro che archiviare l'inchiesta.

    «Altro probabilmente non si poteva fare commenta Pietro Cappellari, attualmente Vicepresidente della Delegazione Romana della Fondazione della RSI anche se stupisce il silenzio generale su una scoperta così inusuale. E come se nessuno volesse immischiarsi in questa faccenda, timoroso di scoperchiare chissà quale vaso di Pandora. Per il solo sospetto che quei resti potessero essere di caduti della RSI, oppure configurare crimini partigiani, tutti se ne sono lavate le mani. Eppure nulla è emerso con certezza, quei resti potevano essere di chiunque. L'unica consolazione è la comparsa sul luogo dei ritrovamenti di una croce posta da mani ignote. L'abbiamo ribattezzata 'croce silente, una croce in memoria di tutti i caduti della RSI a cui è stato negato il diritto alla memoria: essa rimane silenziosa in mezzo ai boschi ad indicare alle generazioni future chi ha sacrificato la propria vita per la Patria. Molto romantico, ma ciò non ci deve far dimenticare che, nel 2004, non tutte le ossa furono recuperate. In virtù di ciò, nell'ottobre scorso, abbiamo presentato un esposto al Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra che si occupa di tutelare anche le sepolture dei combattenti della RSI segnalando quanto a suo tempo denunciammo alla Magistratura. Il 9 marzo 2009, il Commissario Generale Gen. C.A. CC Vittorio Barbato ci ha comunicato che ha interessato il Comando Provinciale dei Carabinieri di Rieti affinché provveda ad effettuare gli opportuni ed approfonditi accertamenti volti a verificare la presenza nella zona di resti umani. Così a quasi cinque anni dalla scoperta si torna a parlare della fossa di Leonessa. Speriamo che le indagini, nonostante il tempo trascorso, trovino una giusta conclusione e magari possano aiutare a comprendere cosa effettivamente accadde nel vallone della morte in quei primi mesi del 1944».

    ecco la lettera di piero cappellari All’attenzione di:
    - Ufficio Storico del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri
    - Comando Provinciale dei Carabinieri di Rieti
    - Stazione dei Carabinieri di Leonessa
    - Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano
    - Sindaco di Leonessa
    - Direttori dei quotidiani e dei periodici della provincia di Rieti

    “FANTASIA AL POTERE”
    Chi vuole strumentalizzare i morti di Leonessa?

    Leggendo l’ultimo numero del periodico “Leonessa e il suo Santo” (gennaio-febbraio 2009) sono rimasto colpito da come è stata presentata la figura di Eligio Vannozzi, fucilato dai Germanici il 7 aprile 1944, a Leonessa (Rieti), con l’accusa di essere un partigiano.
    Da quasi undici anni studio la guerra civile sull’Appennino umbro-laziale e già in passato, a seguito di un articolo comparso su “Il Messaggero”, mi ero interessato di questo Leonessano.
    Prendendo spunto dalle recenti supposizioni – non comprovate da nessun documento storico – di uno scrittore di Rieti, un giornalista aveva asserito che Eligio Vannozzi era stato un “inviato” del Fronte Clandestino dei Carabinieri Reali del Gen. Caruso. Una novità clamorosa nel quadro della ricostruzione storica delle stragi di Leonessa che, però, dopo un attento esame dei documenti a nostra disposizione, si dimostrò del tutto fantasiosa.
    Ad alcuni anni di distanza, scomodando addirittura Salvo D’Acquisto, si è voluta ripresentare questa errata ricostruzione storica, aggiungendo che Vannozzi sarebbe dovuto entrare in contatto con il Comandante della Stazione dei CC di Leonessa Mar. Magg. Fernando Laurenza che, a sua volta, aveva costituito un “piccolo gruppo di partigiani”.
    Il fatto che il Mar. Magg. Laurenza, in quell’inverno 1943-44, non avesse costituito una banda ribelle traspare chiaramente dalle deposizioni che rese nel dopoguerra. Come mai, nelle sue testimonianze, non parlò mai di “missioni segrete” o, più semplicemente, di Eligio Vannozzi?
    Il problema, comunque, rimane sulla “certificata” attività resistenziale svolta da Vannozzi. I documenti, anche in questo caso, sono chiarissimi.
    Eligio risulta “sbandatosi” dopo l’8 settembre 1943, anche se la data del suo allontanamento dalla Stazione in cui faceva servizio dovrebbe essere quella del 7 ottobre 1943, data in cui tutti i Carabinieri di Roma si diedero alla “macchia” per non incorrere nel grande rastrellamento germanico.
    Dopo quella data, Vannozzi non esplicò più nessuna attività di rilievo. Tuttavia, quando nel dopoguerra si dovette dare una sistemazione “giuridica” alle vittime delle stragi tedesche, Eligio venne riconosciuto come partigiano della Brigata “Antonio Gramsci”, con data di “incorporazione” stabilita – su quali basi? – al 1° febbraio 1944!
    Probabilmente Vannozzi non conosceva nemmeno l’esistenza di questa banda ribelle, come probabilmente non conosceva il Gen. Caruso che, tra l’altro, non avrebbe avuto nessun interesse politico o militare nel mandare un “inviato” a Leonessa, specialmente in un periodo in cui l’organizzazione resistenziale romana era stata scompaginata totalmente dalle retate italo-tedesche.
    Dopo il suo “sbandamento”, come moltissimi suoi colleghi, Vannozzi semplicemente tornò a casa, dove ad attenderlo vi era la giovane moglie. Credere in “missioni segrete” è alquanto arduo. Arduo, soprattutto, se si pensa che solo oggi si parla di tutto ciò e se ne parla senza che vi sia un solo documento a provarlo, affidandosi alle solite interessate testimonianze di quarta mano, raccolte dopo sessant’anni da chi non era presente nemmeno ai fatti, ma ha sentito dire, ha sentito raccontare, ecc.
    In realtà, come siano andate le cose lo si è sempre saputo. E lo sapeva anche l’ignoto compilatore della lapide “politica” posta nel luogo dell’eccidio. Sulla stele compare un’eloquente scritta: “Immortalandosi nella loro innocenza”.
    Ed infatti, Eligio Vannozzi era innocente rispetto alle accuse di essere un partigiano. Fu, come la maggior parte dei suoi compaesani, vittima della follia di Rosa Cesaretti che, con le sue false accuse mandò al macello i suoi parenti per sadismo e spirito di vendetta.
    Purtroppo, Vannozzi fu una semplice vittima della generale mattanza. Scomodare la Resistenza vuol dire solo allontanarsi dalla realtà storica di fatto.
    Quella realtà che è sempre stata negata da una vulgata di comodo, che ha nascosto tanti episodi sui quali bisognerebbe invece far luce. E penso all’omicidio del Commissario del Capo della Provincia Francesco Pietramico; all’uccisione del Milite forestale Domenico Aquilini prelevato a Posta e massacrato appositamente a Leonessa; all’insensato assassinio della giovane mamma Assunta Vannozzi; al turpe sequestro di una ragazza di Polino che, portata verso Leonessa, non fece mai ritorno a casa: il suo corpo non fu mai ritrovato.
    Tutti episodi di cui furono protagonisti i cosiddetti ribelli. Tutti episodi che ebbero il loro tragico epilogo nelle stragi di Leonessa.
    Allora si capirebbe perché in quegli eccidi morirono più fascisti che antifascisti; perché nelle foto poste sulle loro tombe, i poveri disgraziati che finirono davanti al Plotone di esecuzione tedesco hanno la camicia nera o il simbolo del Partito Fascista all’occhiello; perché vennero riconosciuti come “partigiani” persone che con la Resistenza non ebbero nulla a che fare; perché esponenti della RSI furono considerati combattenti della Brigata “Gramsci”; perché Leonessa finì nel vortice della guerra civile e perché pagò un così spropositato tributo di sangue.
    Tutte domande a cui non è mai stata data risposta. Allora scomodare Don Concezio Chiaretti per dipingerlo come Cappellano di Brigata partigiana; scomodare il Maggiore medico delle Camicie Nere Ugo Tavani per dire che era d’accordo con i ribelli; dimenticare chi fascista era sempre rimasto come gli squadristi Ivano Palla o Silvestro Crescenzi; ignorare la passata carriera nel PNF di Roberto Pietrostefani e di Carlo Calandrini per asserire che erano tutti partigiani della Brigata “Gramsci” solo perché furono fucilati dai Germanici, è davvero poco corretto.
    Non credo che riconoscere indiscriminatamente a tutti la qualifica di “combattente comunista” dia un senso diverso alle morti di Leonessa. Morti inutili, addebitabili solo alla follia di una giovane compaesana. La politica, la lotta armata contro il fascismo, non c’entrarono davvero nulla.
    Le vittime – tutte le vittime e tutti i caduti! – dovrebbero essere ricordate per quello che furono in realtà, non per quello che vorremmo che fossero state e non furono. Si rischia decisamente il rischio di cadere nel grottesco ed inventarsi partigiani mai esistiti. Non a caso il Mar. Magg. Laurenza ebbe a dichiarare: “Durante il soggiorno in montagna ebbi occasione di conoscere diversi giovani alla macchia di Montelone-Cascia, mentre mai vidi quelli di Leonessa che solamente a liberazione avvenuta si autoproclamavano partigiani e [dichiaravano] di aver svolto attività mai esistita”.
    La storia si dovrebbe fare con i documenti e, soprattutto, con onestà.


    Pietro Cappellari
    Vicepresidente della Delegazione di Roma
    della Fondazione della RSI – Istituto Storico







    Lemmonio Boreo

     
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0 replies since 6/5/2009, 10:24   923 views
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